Ci sono parole che sentiamo pronunciare fin da bambini e ci paiono consuete, entrando a far parte della “normalità del mondo”. Una di queste è “pedone”, che nella società moderna individua chi si sposta a piedi. La cosa interessante è che l’homo sapiens ha imparato a camminare da non meno di 200.000 anni, mentre il concetto di “pedone” deve necessariamente essere stato un’acquisizione molto più recente.
La postura bipede, ovvero il camminare, è una cosa talmente intrinseca alla nostra specie da non necessitare in sé di alcuna specificazione. Tutti camminano, come tutti respirano, come tutti mangiano. A nessuno verrebbe in mente di definire una categoria come “mangiante”, perché l’alternativa non avrebbe senso. Eppure ad un certo punto della nostra evoluzione socio-culturale abbiamo avuto la necessità di creare un distinguo per specificare una delle cose più naturali del mondo. Quando è accaduto questo?
Difficile dirlo con esattezza, ma è presumibile che il momento coincida con l’affollarsi sulle vie cittadine di mezzi di trasporto alternativi al camminare. Fino ai primi dell’ottocento cavalli e carrozze erano in numero talmente esiguo da non richiedere distinguo formali per la stragrande maggioranza degli altri utenti delle strade. Tuttavia, con l’avvento di velocipedi, omnibus, tram ed infine di automobili e ciclomotori si è creata la necessità di normare definire ed incasellare le varie tipologie di soggetti che si muovevano sulle vie cittadine, ed ecco apparire la definizione di “pedone”.
Il “pedone”, sin dall’inizio, è una sorta di paria della strada. Se si legge il C.d.S. è tenuto a farsi da parte per lasciare spazio ai veicoli a motore, a spostarsi negli spazi a lui/lei destinati e solo in quelli, ad attraversare la strada sulle apposite strisce pedonali, in un plateale esproprio degli spazi urbani, operato in nome di un “progresso” ed una “modernità” che ormai, a più di un secolo di distanza, cominciano a mostrare contraddizioni insolubili.
Culturalmente l’introduzione dello status di “pedone” serve non già ai pedoni stessi, che lo erano da sempre, ma a legittimare l’esistenza ed il “diritto di proprietà” sulle strade da parte dei veicoli motorizzati. Le automobili perdono così lo status di “intruse”, di macchine aliene al tessuto urbano (com’era stato fin lì percepito), acquisendo “per contrapposizione” con altri soggetti diritti e doveri, ben presto trasformatasi in un vero e proprio esproprio.
A posteriori l’idea di distinguere la popolazione in “pedoni” ed “automobilisti” appare un riuscitissimo esercizio di neolingua capace di iniziare quel processo di apartheid che ha spossessato i cittadini delle proprie strade, a tutto vantaggio dei “padroni del vapore” che in questo processo si sono arricchiti a spese della nostra salute, fisica e mentale.
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Che piacere girare a caso ed imbattersi in questi articoli! Complimenti!
Thanks!
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Ti ringrazio, è poco che sto qui, non ho capito perché la ricerca articoli funziona di merda e cercavo qualche blog interessante da seguire…sono dunque apprezzatissime le segnalazioni! : )
In effetti appena si è potuto distinguere un pezzo dell’umanità dalla stragrande maggioranza che non aveva, che non era o che non faceva, lo si è sempre fatto. Proprio come nel caso dei peones (pedoni=poveracci) dell’ America Latina. Poveracci perchè non avevano un cavallo o quant’altro…
Osservazione molto acuta. 😉
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