Come i dobson hanno trasformato il mondo dell’astronomia amatoriale

Da entusiasta possessore di un telescopio “dobsoniano” da 300mm di diametro mi sono trovato recentemente a riflettere su quanto il mondo dell’astronomia amatoriale sia stato trasformato, se non stravolto, dall’ingresso sul mercato di questi giganti dell’ottica. La mia “nascita” alla passione per l’astronomia data parecchio indietro nel tempo, ormai più di trent’anni fa, quando chiesi ed ottenni come regalo per la promozione un piccolo newton da 114mm di apertura e 900mm di focale.

Di quello strumento, venduto per inutilizzo dopo il passaggio ai 200mm negli anni ’90, serbo ancora un carissimo ricordo: treppiedi di legnaccio facile a scheggiarsi con puntali di gomma esageratamente morbida (questi ultimi prontamente sostituiti), montatura equatoriale “alla tedesca” rudimentale e traballante (per quanto ancora in produzione, dotazione degli attuali strumenti ultraeconomici col nome di EQ1), portaoculari da 1″ secondo lo standard dell’epoca, cercatore 6×30 (diaframmato a 5mm e pressoché inservibile, sostituito anch’esso con parti ottiche cannibalizzate da un binocolo da teatro distrutto), ma nonostante tutto un’ottica di buona qualità, in grado di raggiungere il limite di diffrazione e fornire immagini pari, se non superiori, a quella di analoghi strumenti della produzione attuale.

Erano tempi in cui la percezione di problematiche come l’inquinamento luminoso era ancora rudimentale, si osservava da casa, ovunque essa fosse (la mia era nel centro di Roma, dove il cielo dell’epoca ancora consentiva di individuare piccole nebulose senza l’aiuto di filtri), le ridotte dimensioni degli strumenti rendevano accessibili solo pochi oggetti e, soprattutto, si era di necessità onnivori, osservando un po’ di tutto e sperimentando, sugli stessi strumenti usati per il visuale, le prime timide riprese fotografiche con apparecchi a pellicola.

Parallelamente alla ridotta operatività vi era anche un limitato accesso alle fonti informative: pochi libri (in larghissima parte divulgativi), mappe del cielo rudimentali (commisurate alle ridotte aspettative degli utenti), grande fatica nello scambiarsi informazioni tra i pochi appassionati “dispersi sul territorio”. Internet era ancora là da venire e la mole sterminata di informazioni che abbiamo oggi “a soli pochi click di distanza” allora era del tutto inimmaginabile.

Per gli astrofili dell’epoca era già un piccolo trionfo avere da mostrare foto in bianco e nero dei crateri lunari, le riprese a lunga posa si realizzavano con la macchina fotografica montata in parallelo al telescopio ed inseguendo a mano, l’esperienza osservativa dei più si limitava a Luna, pianeti, una manciata di stelle doppie e qualche oggetto “deep sky” particolarmente brillante, mentre per tutto il resto vi era la diffusa convinzione si trattasse di oggetti “esclusivamente fotografici”, impossibili da osservarsi ad occhio nudo (ché, di fatto, nessuno ci riusciva…).

Quanto sia lontano quel mondo dall’attuale desta stupore. Prima la rapidità di circolazione delle informazioni consentita da internet, poi l’ingresso sul mercato dei telescopi dobsoniani di grande diametro a prezzi abbordabili, ci hanno aperto davanti un universo al di là dei nostri sogni più arditi, provocando una serie di avvenimenti “a cascata”. Da qui in poi le considerazioni generali si intrecciano alla mia storia personale in maniera per me inestricabile, procederò quindi ad analizzare i passi salienti degli ultimi anni da una prospettiva più “soggettiva”.

La catena di eventi prese il via, per me, meno di dieci anni fa, poco dopo il cambio di millennio, con la nascita delle prime “mailing list” (strumenti ora sorpassati ma all’epoca ancora pionieristici). Dalla mailing list di una rivista di astronomia (Coelum) si distaccò il primo nucleo di “visualisti” per dar vita alla mailing list Visualsky. Io disponevo all’epoca di un 20cm, ma i cieli sotto i quali osservavo erano di gran lunga sopravvalutati e mi mancavano le competenze necessarie a rendere sufficientemente appaganti le rare (e faticose) uscite osservative (oltreché la compagnia!). Poter dialogare per mezzo della posta elettronica con altri appassionati del resto d’Italia ci consentì di bypassare i limiti culturali e territoriali.

Dopo un po’, desiderando trasferire “all’esterno” le informazioni e le competenze che stavano emergendo in quel contesto, pervenni all’apertura di tre blog, strumenti forse ancora troppo “nuovi” per suscitare il necessario entusiasmo, e che in una prima fase finirono pressoché accantonati. La ML declinò nel corso degli anni a seguito del ritiro di alcuni dei fondatori e principali animatori, ed anch’io, preso da altre vicende, finii puù tardi col disiscrivermi, restando collegato unicamente al “cordone ombelicale” rappresentato dai Blog dei quali ero ancora amministratore.

Proprio su quei blog cominciò a scrivere all’epoca Mauro Da Lio, analizzando con un approccio finalmente scientifico diversi aspetti legati alla luminanza del cielo, ed in un secondo tempo alla gestione e stabilizzazione termica delle ottiche di grandi dimensioni. Fu proprio grazie a quelle letture che, a distanza di anni, poco dopo il momento in cui i primi dobson commerciali apparvero sul mercato, l’antica passione, mai completamente sopita, si ridestò. Adesso, a distanza di altri anni, posso tirare una linea e giudicare quanto siano cambiate le cose dagli anni lontani in cui la mia passione nacque.

L’avvento dei dobson ha pressoché spaccato in due la comunità astrofila, creando una dicotomia irriducibile tra strumenti per osservazione visuale e strumenti fotografici. Una volta dimostrata la praticabilità (per non dire la praticità) dell’utilizzo in visuale di supporti altazimutali, economicissimi e privi di inseguimento motorizzato, non vi è stato più ragione di sacrificare al diametro dell’ottica il costo ed i limiti intrinseci di una sofisticata montatura equatoriale.

In seconda istanza si è inevitabilmente attestato l’utilizzo di strumenti di grande apertura per osservazione visuale, al punto che anche a chi inizia (disponibilità economiche permettendo) si consiglia di partire con almeno un 25cm, laddove molti prendono come primo strumento addirittura un 30cm.

Ancora: è maturata la consapevolezza della necessità di sfruttare cieli bui, ed è abbastanza facile trovare gruppi e gruppetti che si organizzano per allontanarsi, poco o tanto, dalla città. Da ultimo si è diffuso l’uso di accessori ottici di qualità, come oculari a larghissimo campo e filtri interferenziali, i primi ancora là da venire nei lontani anni ’80, i secondi introvabili ed eventualmente a costi assurdi.

Ma una mutazione ancora più drastica c’è stata tra gli astrofili, che avendo la possibilità di osservare oggetti molto più deboli ed evanescenti sono diventati più esperti e competenti in merito agli oggetti del “cielo profondo” di almeno un paio di ordini di grandezza rispetto alla gran parte dei loro antenati. In una tipica uscita di visualisti odierna è ormai prassi normale sentir nominare, come se fossero dei “classici”, oggetti dei quali, anni addietro, nemmeno si sospettava l’esistenza.

Mi immagino, ora, tornare a quei lontani anni ’80 e provare a raccontare delle osservazioni dell’Elmo di Thor, della Velo, della Rosetta, della Helix, della PacMan… quanti sarebbero stati in grado di collegare questi oggetti ad una qualsivoglia esperienza osservativa? O anche solo ad oggetti mai sentiti menzionare?

La maggior parte di noi aveva a malapena intravisto  una manciata degli oggetti del catalogo di Messier (io sono arrivato a buttare l’occhio all’ammasso di galassie della Vergine solo a metà degli anni ’90), ed in condizioni tutt’altro che entusiasmanti, ammassi globulari non risolti in stelle, galassie brillanti al limite dell’avvertibilità, osservando da cieli già rovinati da un inquinamento luminoso del quale non avevamo piena cognizione. Tutto questo è cambiato, per fortuna, e indietro non si torna.

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