Dopo più di dieci anni passati a seguire le vicende della ciclabilità romana penso di essere prossimo al totale esaurimento delle energie e della fiducia. Tutte le amministrazioni che si sono susseguite fin qui, quali più quali meno, hanno perseguito la strategia di fare il meno possibile, rivenderselo per oro colato e dilazionare all’infinito la risoluzione dei problemi. L’attuale non fa eccezione, e a questo punto l’esasperazione è già a livelli di “fuori scala”.
In buona sostanza quello che ci si preannuncia di qui a breve è l’ennesima “mega-conferenza”, una sorta di “parata di gala” di pezzi grossi dell’amministrazione e rappresentanze dei ciclisti in cui ci si confronterà, rigorosamente a parole, in un serratissimo dibattito in cui voleranno chiacchiere per l’aere finché tutti i presenti non ne saranno esausti ed avranno maturato la sensazione che “tutto il possibile è stato fatto (a parole)”.
Personalmente sono convinto che il tempo delle discussioni sia passato da un pezzo e sia ora di rimboccarsi le maniche e cominciare a realizzare qualcosa di concreto, bello o brutto, giusto o sbagliato che sia, purché tangibile. Tutti i discorsi possibili sono già stati affrontati, le differenti posizioni definite, i limiti all’azione sviscerati, mentre nel frattempo intorno a noi le poche (e scadenti) realizzazioni delle passate amministrazioni venivano abbandonate a sé stesse ed al degrado.
Pur continuando a collaborare con diverse realtà di base della ciclabilità romana, proseguendo un cammino iniziato ormai troppi anni addietro, a questo giro ho deciso di tirare i remi in barca e non partecipare, non già per una questione di merito quanto di metodo.
Non ritengo accettabile che ancora adesso l’amministrazione capitolina, a tre anni di distanza dal suo insediamento, dopo innumerevoli incontri con le rappresentanze dei ciclisti romani, venga a chiedere a noi ciclisti quali siano gli indirizzi da prendere. Non è accettabile che un’amministrazione con al suo interno di fior di risorse, competenze e professionalità si riduca a chiedere cosa fare alle vittime della propria stessa inettitudine.
Nel mio lavoro il cliente si limita a sottoporre la problematica da risolvere, che può essere, poniamo il caso, movimentare dei contenitori di materiale da un locale all’altro, salendo e/o scendendo di livello, distribuirli presso differenti operatori e, se è il caso, riportandoli indietro. Definito il risultato da ottenere si fa un’analisi sulla realizzabilità, si calcolano i costi, si fa un’offerta ed a quel punto il cliente decide se assegnarci l’appalto o ridiscutere l’offerta, modificando le specifiche per ottenere una riduzione dei costi ovvero richiedendo ulteriori funzionalità.
In prima istanza al cliente non interessa, e non deve interessare, in quale maniera io fornitore decido di movimentare i contenitori, se per mezzo di trasportatori a rulli, o a nastri, o a catene. Quello è un problema che gestiamo noi in base alla tipologia, alla forma ed al peso dei contenitori. Non sono problemi del cliente costi e tempi di approvvigionamento dei materiali, modalità della lavorazione, subappalti. Al cliente interessano due cose: costi e tempi di consegna.
Ora la situazione che abbiamo con l’amministrazione capitolina è almeno in teoria analoga. Noi ciclisti siamo alla stregua di un “cliente” che sottopone la problematica da risolvere (che potremmo riassumere in “migliorare le condizioni di sicurezza di chi va in bici a Roma”), dall’altra parte, però, il potenziale “fornitore” non è in grado di definire una proposta ragionevole: temporeggia, cincischia, accampa scuse, dilaziona, mischia le carte in taviola e da ultimo rigira su di noi la “frittata” chiedendoci di proporre noi le soluzioni.
Ma se io andassi dal mio potenziale cliente chiedendogli di progettare lui l’impianto perché io non ne sono capace, cosa pensate che mi risponderebbe?
Purtroppo per quanto riguarda le realizzazioni per la ciclabilità siamo rimasti indietro di decenni rispetto al resto dell’Europa, con l’aggravante dell’incancrenirsi di situazioni di degrado, legate all’invadenza ed alla sostanziale impunità concesse da sempre agli automobilisti, che ci hanno relegato a livelli di qualità della vita più prossimi a quelli del Nordafrica che non alle capitali europee.
A questo punto le cose da fare non sono più poche, sono diventate innumerevoli, e l’inerzia programmatica del nostro ceto politico, bravo solo a razzolare consensi in campagna elettorale, non fa che aggravare un quadro desolante. Le soluzioni non devono “proporle i ciclisti”, esistono studi, esperienze di decine di città grandi e piccole, innumerevoli possibili soluzioni delle quali si conosce già il grado di efficacia, competenze in materia maturate da chi si è mosso prima di noi.
“Cosa fare” lo si sa già, quello che però che continua a mancare è la volontà di prendere decisioni, di iniziare ad affrontare davvero i problemi per cominciare una volta per tutte a risolverli. È l’unica cosa che nel corso degli anni non ho visto fare se non raramente, da poche persone, spesso ostacolate dai propri stessi collaboratori.
Ed è anche l’unica cosa che temo non vedrò mai. Ma se proprio così dev’essere posso perlomeno risparmiarmi l’ennesimo “parlatoio allargato”. Di parole ne ho sentite fin troppe e “caramelle, non ne voglio più”.
Mi raccomando: tutti a votare alle prossime, che cambierà tutto, stavolta davvero, è la volta buona, ci siamo proprio, è fatta, un ultimo sforzo, è il nuovo, niente sarà più come prima, dateci fiducia, la rivoluzione liberale e ciclabile è ad un passo, non disperdere il tuo voto. Dai vieni con noi: per un nuovo miracolo ciclabile.
Rileggendo il post mi accorgo di aver omesso un punto chiave, ovvero che i ciclisti romani non sono d’accordo pressoché su nulla, mai. Questo è un formidabile grimaldello in mano all’amministratore di turno che ha facile gioco a delegare loro le scelte da operare ben sapendo che non si verrà mai a capo di nulla perché tutto il tempo verrà speso in inutili cavilli e distinguo e obiezioni e via così. Il commento qui sopra (che lascio, anche se la voglia di cancellarlo è tanto perché totalmente fuori contesto rispetto all’argomento postato) dimostra esattamente questo: l’impossibilità di pervenire a soluzioni concordate e condivise.
Moriremo di egocentrismo, e ce lo saremo meritato!
Sei un fine scrittore, piacevole da leggere qualunque cosa scrivi, ma ii piacciono i colpi di teatro e quesi a volte sono un’ottima cosa altre volte no.
Capisco la tua delusione, ma non la disillusione.
Io vedo che in due anni sono cambiate tante cose a Roma a livello di ciclismo urbano, a prescindere da quello che abbiamo ottenuto dall’amministrazione.
La più importante è che aumentano le persone che usano la bici in città.
Questo aumento è certamente dovuto alla crisi, ma anche all’impegno di un gruppo di persone che si danno da fare tutti i giorni, ed anche quel minimo di concessioni ricevute dall’amministrazione, ossia le pieghevoli in metro sempre e gratis, hanno creato un boom di acquisti e di uso quotidiano (io ne vedo sempre di più tutti i giorni).
Quindi capisco la delusione per non aver ottenuto molto dall’amministrazione, ma non la disillusione perchè nel momento che ottenessimo anche solo un piccolo ulteriore contributo i tassi di crescita esploderanno.
Io non credo che i litigi fra ciclisti siano frutto di egocentrismo, ci sono due elementi, da una parte la preoccupazione che alcuni elementi continuino a portare avanti richieste anacronistiche e costosissime a discapito delle realizzazioni concrete ed economiche, dall’altra una grossa sfiducia nella “conitinuità” di azione da parte dei propri alleati.
E’ innegabile che in situazioni di volontariato puro (senza tessere ne finanziamenti del 5×1000), aggregando persone di indole, capacità e sensibilità differenti si hanno “passi differenti”, l’importante è che queste differenze siano superate nel momento in cui si arriva a contatto con i politici che ovviamente hanno capacità di trattativa, tempo e mezzi molto superiori ai nostri.
marco bikediablo
Andiamo con ordine.
“Quindi capisco la delusione per non aver ottenuto molto dall’amministrazione, ma non la disillusione”
La mia disillusione, almeno per come l’ho esposta qui sopra, riguarda solo l’amministrazione (o meglio, “le” amministrazioni, tutte).
Non penso e non ho scritto che il numero dei ciclisti andrà a diminuire, penso però che si andrà incontro, nel breve o nel medio periodo, a grossi problemi legati alla mancata gestione dell’esistente. Il numero di bici aumenterà e quello delle automobili diminuirà, ma proprio per questo la sicurezza sarà ancora più critica: le automobili, in assenza di traffico, viaggeranno a velocità maggiore, ed i ciclisti smetteranno di usare escamotage salvavita come i marciapiedi e finiranno a fare da birilli umani per il cretino di turno. oltretutto parliamo di “neociclisti”, quindi persone in massima parte sprovvedute rispetto ai pericoli del traffico.
Quanto ai “litigi tra ciclisti” ci sono vissuto dentro abbastanza a lungo da rinunciare a venirne a capo. D’altronde siamo Italiani ed ognuno si fa un punto di orgoglio nell’avere la propria posizione personale che sia ben netta e distinta da quelle degli altri. Una volta si diceva “metti due trotskisti da soli in una stanza e dopo cinque minuti formeranno tre correnti diverse”, con i ciclisti romani è la stessa cosa. Anche per questo ritengo che l’amministrazione dovrebbe uscire dall’impasse decidendo da sé cosa vuole realizzare. Fatto questo potremo sempre obiettare, suggerire, consigliare, segnalare, informare, ma almeno si partirà in una direzione definita anziché rimanere ad aspettare Godot.
ah ah ah….
marco bikediablo che dice agli altri che fanno “i colpi di teatro”………….
Marco prima di dire cornuto all’asino faresti meglio a fare una seria autoanalisi del tuo protagonismo.
E qui mi fermo…
No, Arlina, perdonami ma non posso consentire questo uso del mio spazio. Se siamo qui a confrontarci occorre trovare una maniera di farlo seriamente, non approfittarne per lanciare il sasso e ritirare la mano nell’ombra dell’anonimato.
Pertanto ti invito a:
1) presentarti
2) chiarire a quale Marco ti riferisci, dato che non è chiaro
3) esporre le tue considerazioni in maniera più estesa, in modo da renderle comprensibili.
Anche perché accusare di “protagonismo” persone che spendono il proprio tempo e le proprie energie senza alcun tornaconto personale è veramente troppo facile e gratuito… a prescindere.
“We shall overcame!”
vale per ciclisti urbani
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Le tribu’ dei ciclisti romani sono divise per un semplice fatto sociologico. Ossia perchè per essere ciclsiti a Roma bisognava essere molto identitari e motivati da altri fattori per usare la bici a Roma.
Quindi l’identità del ciclista viene prima della mobilità senza identificazione di corpo, tribù, gruppo.
Una identità molto forte che viene quasi prima il proprio essere “unico” rispetto a una faticosa modifica delle politiche noiose di mobilità.
Ma Bikediablo dimostra il contrarissimo, che le cose voglion e stanno cambiando e molto in fretta.
Bikediablo rappresenta un cambiamento culturale, mai visto a Roma precedentemente.
Quindi Marco, sursurcorde! (in marchigiano) che il peak oil è in atto oggi in Sicilia.
E arriverà anche a Roma.
Ottimismo della volontà.
Concordo con la tua analisi.
Io la mia “identità” l’ho persa molto tempo addietro (FIAB) e non ne ho ancora trovata un’altra… forse perché in fondo ne faccio benissimo a meno.
Arlina non ti conosco personalmente o si ?
Non mi sembra di fare colpi di teatro, certamente faccio le piazzate (cosa ben diversa) quando le cose puzzano, sei rimasta scottata ?
Per il resto se impegnarsi a promuovere qualcosa significa protagonismo va da se.
Una cosa è certa io non ho paura ad usare la bici quindi ci vado sempre, se mi sbatto tanto è perchè mi piacerebbe che potessero (non dovessero) farlo tutti e che migliorasse in qualche modo la vita di questa città.
marco
p.s.: non darei mai dell’asino ne’ del cornuto al mammifero bipede, perchè comunque è uno che qualche ora del suo tempo per farci vivere meglio la spende.
E non credo abbia bisogno di essere difeso in questo modo becero.
Caro Marco, hai veramente ragione. Dal punto di vista ciclistico l’unica realizzazione di questa amministrazione è stata l’asfaltatura della pista del Tevere, cosa peraltro ottima.
I tavoli di consultazione sono un buono strumento per correggere cosa si vuole fare, o per cercare idee. Ma sono anche un metodo per darla a bere e per non fare nulla. Il piano della ciclabilità è stato proprio questo, l’ennesima scusa per non agire.
Però anche questa volta non sono d’accordo che non siamo mai d’accordo… Almeno sulla cattiva fede di questa amministrazione siamo tutti concordi.
Sulla “cattiva fede” complessiva direi di sì. Salverei in parte alcune persone che comunque hanno provato a darsi da fare con risultati minimi ma apprezzabili (il trasporto delle pieghevoli sui mezzi pubblici non è una cosa da buttar via). Purtroppo in un’entità “multicefala” quello che finisce per valere è l’orientamento complessivo, e da questo punto di vista non si è assistito ad una maturazione collettiva sui temi della ciclabilità. Il fatto che la messa in discussione del Piano Quadro sia slittata in avanti indefinitamente dimostra anche questo, ovvero che la ciclabilità non viene percepita come una priorità. Finché non avverrà questo (e viene in mente, a questo proposito, una battuta micidiale di un film sui primordi della diffusione dell’AIDS: “Diteci almeno di quanti morti avete bisogno prima di cominciare a considerarlo un problema da risolvere!”) continueremo ad assistere a balletti e traccheggiamenti, revisioni, ridiscussioni e rinvii… ad libitum.
“maturazione collettiva sui temi della ciclabilità”.
purtroppo adesso sono io che devo concordare con te. E dico purtroppo.
Il fatto mi spiace dirlo è che nel momento della “maturazione” da parte dei ciclisti essi perderebbero la loro “identità di pretoriani”, unicuum cilistico e quindi una diminuizione identitaria.
Poichè dovrebbero necessariamente abbandonare l’identità di “unicumm ciclistico abversa sorte” e diventare semplicemente “dialogatori politici” a tutti gli effetti, questo è inaccettabile dall’antropologia odierna dei ciclisti romani.
C’è una rottura di identità, una crisi di identità che preferisce mandare in fallimento i tentativi di cambiamento perchè sentono inaccettabile la perdita dell’identità…
Scusa se sono un po’ oscuro, spero che il senso sia stato chiaro..
Insomma se i pretoriani finiscono la guerra non riescono a tornare nelle campagne per seminare,arare e raccogliere i frutti della lotta.
Meglio guerrieri che agricoltori.
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Purtroppo.
La “maturazione” di cui tu parli passa proprio da qui.
Saluti e buon week end.
Il senso è chiarissimo, e ti ringrazio per questa disamina antropologica che ritengo molto puntuale. Forse, nel mio caso, è l’esser stato troppo a lungo sulle barricate in attesa di un cambiamento che non è mai arrivato, o magari il tentativo di comprendere e dialogare con le altre “tribù”, che mi ha portato alla scelta di non voler più “appartenere”. Il risultato è appunto che i “pretoriani” mi considerano ormai alla stregua del nemico di turno. 😦
Cmq. non so se ci conosciamo già (il tuo nick non mi si collega ad alcuna faccia…) ma spero ci sarà l’occasione di scambiare quattro chiacchiere “de visu”.