Il filosofo delle pannocchie

Saranno anche piccole cose, ma non manco di rimanere colpito quando trovo in giro "tracce del mio passaggio". È una cosa che mi emoziona, ed anche un po’ mi imbarazza, come quando si viene presentati a degli sconosciuti per essere "quello che ha fatto la tal cosa" (che in genere pare una roba talmente minima da non sembrare degna di menzione). Stavolta mi sono "ritrovato" citato da Cecilia Gentile, giornalista e scrittrice ("Buongiorno Senegal", Ediciclo editore), che in un suo racconto intitolato "Pag e le pannocchie di Marco P." (sic!) rievoca un episodio risalente ad un lontano viaggio in bici. Parte di questo racconto è stata pubblicata nel Blog dell’editore Ediciclo.

Scrive Cecilia:
"Ricordo il mio primo viaggio a pedali tanti anni fa in Bretagna, Francia. Eravamo in quattro. Avevamo programmato la prima settimana a nord per poi spostarci con il treno a sud, zona più turistica, raccomandata dalla guida. Ad un certo punto Marco P. propose di non prendere il treno, per rimanere ad esplorare la zona in cui già ci trovavamo, e affidarci solo alla bici. Ci fu una votazione. Ricordo che rimasi molto male, io volevo cambiare zona, e persi. “Ma qui ci sono solo pannocchie”, dicevo a Marco P. mentre pedalavo. “Magari potessi pedalare tutti i giorni in mezzo alle pannocchie”, mi rispose Marco P. Ecco, con il tempo, nei miei viaggi in bici, ho imparato a cercare e a trovare le mie pannocchie."

Devo essere onesto, questa frase sulle pannocchie proprio non me la ricordavo. Probabilmente perché mi sembrava, allora, una considerazione talmente ovvia da non meritare chissà quale attenzione. Direi, a posteriori, che in effetti lo era… ma altrettanto sintetizzava con estrema linearità ed efficacia un pensiero, un’idea. Ed è forse proprio questa capacità di sintesi che, sulla distanza, l’ha resa degna di menzione, capace di tratteggiare, nella sua essenzialità, un rudimentale abbozzo di "filosofia di vita".

Un’altra amica, in quegli stessi anni, mi tributava una cosiddetta "eleganza di pensiero", ovvero una capacità di semplificazione che, a suo dire, consentiva di arrivare alle soluzioni dei problemi ragionando "per linee rette" (la retta è, per definizione, la via più breve tra due punti). Non so se sia davvero così, ma mi capita spesso di dover faticare di più a spiegare concetti sostanzialmente semplici che non architetture logiche più complesse ed arzigogolate. Non saprei dire se questo mio "ragionare per linee rette" sia una forma di intelligenza o non, piuttosto, di stupidità. Comprendo facilmente il comportamento degli oggetti, non altrettanto bene le persone. So cosa è giusto per me ma ho grossi problemi a relazionarmi con un mondo di bisogni indotti, di conformismo, di opportunismo acritico come quello che mi circonda. L’uomo giusto al momento sbagliato, o forse solo l’uomo sbagliato, in un momento qualsiasi.

L’alternativa mi suggerisce che il mondo in cui viviamo, la cultura che assorbiamo, la maniera in cui la maggior parte delle persone organizza i propri pensieri è ancora molto lontana da una reale efficienza. La scuola si preoccupa molto più di riempirci la testa di concetti diversi, non di rado fra loro antitetici, che non di insegnarci la maniera di organizzarli. Un tempo lo si definiva col termine dispregiativo di "nozionismo", oggi è una parola che non si sente più. Il dubbio, o meglio, la preoccupazione, è che l’antico "nozionismo" abbia ceduto il passo non già ad una più adeguata forma di insegnamento, ma ad un nozionismo ancora più misero e scadente.

Sere fa mi hanno posto una domanda quantomeno bizzarra. Eravamo nel bel mezzo di una sessione di osservazioni astronomiche e stavo illustrando un po’ di "rudimenti" ad una ragazza che si stava avvicinando all’astronomia. Questioni in prevalenza tecniche, finché non mi ha chiesto: "ma c’è una filosofia dietro tutto questo?" Penso di averle dapprima risposto che "filosofia", dal greco "philos sophos" significa "amore per la conoscenza", quindi l’astronomia è necessariamente "filosofia"… ma mi pareva di sfuggire la domanda.

Allora ho reinterpretato la frase in altri termini, immaginando che la questione fosse: "cosa mi dà l’osservazione del cielo". Ho parlato dell’esperienza diretta, non mediata, con l’infinito. Del divenire consapevole, lì ed in quel momento, del mio posto nell’Universo. Del comprendere, lì ed in quel momento, di far parte di una specie che si è elevata dai bisogni materiali per costruire macchine in grado di scrutare nell’immensità del Cosmo. Dell’osservare coi miei occhi e poco altro (lenti, specchi) oggetti antichi di miliardi di anni, posti a distanze incolmabili, inconcepibili.

Ed è, in fondo, la stessa filosofia che mi porta a pedalare in mezzo alle pannocchie, come se fossero una cosa nuova e mai vista. Perché la bellezza non è del mondo, ma del modo in cui lo guardi. La meraviglia non sta in quello che vedi, ma in quello che ti è dato di comprenderne. Non basta avere occhi se non si sa osservare. Non basta essere liberi, se della libertà non si sa che farsene. Non basta avere in dono il pensiero, se non si sa pensare.

Io ho questo modo di ragionare per linee rette. Nella vita di tutti i giorni non aiuta moltissimo, a volte è d’impiccio. Alle volte indica soluzioni che altri faticano a vedere. Ogni tanto, per fortuna, si rende utile.

11 pensieri su “Il filosofo delle pannocchie

  1. Pannocchie o papaveri fa lo stesso, l’importante e’ sentirsi parte di questo mondo e non solo spettatore, e devo dire che
    e’ grazie a persone come Marco che ho riscoperto questa sensazione.

    Sergio aka Trip66

  2. Bel passaggio.
    Ho già risposto su FB e non vorrei ripetermi sul valore delle cose vere.
    Andate in bici=Più pannocchie e meno colesterolo per tutti!

  3. “La vita, l”universo e le pannocchie” dunque.
    Chissà, forse non mio figlio, ma magari i miei nipoti un giorno a scuola studieranno Platone, Aristotele e il Mammifero Bipede, il famoso filosofo delle pannocchie!

  4. Sulle pannocchie e le bici ho un episodio che risale alla scorsa estate. Ero in Austria, vicino alla cittadina di Perg, e la stradina che percorrevo in bici assieme a mio fratello e ai miei figli, si dipanava pigramente con mille curve attraverso campi di mais. Ad un certo punto, dietro l’ennesima curva, un gruppetto di ragazzi e ragazze era fermo in mezzo alla stradina, le bici per terra, e stavano mangiando le pannocchie. Lì per lì mi sono arrabbiato, li ho sgridati perché le pannocchie erano il frutto del lavoro dei contadini e non si dovevano rubare. Ma il loro gesto era ingenuo, pulito, innocente, un riavvicinamento totale alla natura dopo mesi e anni vissuti nel cemento.
    In altre parole, avevano davvero trovato le loro pannocchie!

    magociclo

  5. @magociclo
    Se non fosse per la differenza di tempo e di spazio, direi che hai incrociato me e le mie amiche durante una delle nostre estive pedalate adolescenziali.

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