Ormai da un po’ di tempo provo a seguire le dinamiche legate al problema del progressivo esaurimento delle risorse del pianeta. Tutto iniziò un paio d’anni fa, quando un messaggio postato sulla mailing list della Massa Critica romana mi introdusse alla teoria del “Picco di Hubbert“, ovvero l’analisi del possibile “punto di non ritorno” della nostra civiltà, prodotta dal declino dei combustibili fossili e dell’energia a basso costo.
Da grande appassionato di speculazioni sul futuro del Mondo (cosa che dovrebbe riguardare tutti, dal mio punto di vista, salvo constatare che per la maggior parte delle persone non è così) ho spazzolato un po’ il web alla ricerca di conferme e/o smentite della teoria. Nel frattempo si è verificata un’impennata brusca dei prezzi del petrolio, immediatamente seguita da una crisi finanziaria e da una altrettanto brusca recessione mondiale, quasi ad avvalorare la correttezza dei modelli matematici.
Ora stiamo attraversando un periodo di grande confusione, dominato da una spinta “inerziale” diretta alla prosecuzione del modello di sviluppo che ha caratterizzato i precedenti decenni, fondato sull’indimostrabile paradigma della “crescita indefinita” dell’economia. Essendo materia assolutamente fideistica, non è da escludere che gli eventi più drammatici si verificheranno quando apparirà evidente l’infondatezza di questa “fede”.
Lo sviluppo economico attuale è prosperato per decenni sulla negazione delle proprie contraddizioni, sul consumo e la distruzione dell’esistente, sulla produzione di “ricchezza materiale” del tutto slegata dalla felicità effettiva ad essa collegata, sull’autosfruttamento delle popolazioni, sul dominio politico/militare di ampie porzioni “sotto-sviluppate” del pianeta, sull’insoddisfazione generalizzata indotta per mezzo della pubblicità.
Cosa succede quando l’occidente globalizzato è costretto a fare i conti con la cruda realtà della finitezza delle risorse, dopo avere ostinatamente preteso il contrario e negato l’evidenza dei fatti fino alla fine? Siamo qui per vederlo, ed immagino che non ci piacerà. Per quanto mi riguarda un po’ di idee, molto grossolane, me le sono fatte, e mi piacerebbe discuterle con chi frequenta questo blog.
In primo luogo mi sono fatto l’idea che il mondo della finanza, come la “scienza” dell’economia, non tratti una materia reale, concreta, tangibile, ma bensì idee astratte, che il denaro circolante non misuri realmente la ricchezza (di una persona, di un’impresa, di una nazione) bensì l’idea collettivamente accettata di tale ricchezza.
Quest’idea è talmente slegata dalla realtà dei fatti che si fa presto a mandarla in crisi. Prendiamo ad esempio le “bolle speculative” cresciute e scoppiate negli ultimi decenni. Si parla di “miliardi di euro bruciati” dalle borse mondiali, si tace che quello che è sparito, in realtà, è un valore del tutto fittizio assegnato arbitrariamente. Nel concreto quella ricchezza non è mai esistita, ma ci avevano convinto del contrario, o meglio “ci eravamo” convinti del contrario.
Un grande bluff, insomma, ma un bluff collettivamente accettato e condiviso, un bluff su cui abbiamo scommesso il nostro futuro. Finché qualcuno, o perfino noi stessi, non chiederà di vedere che carte abbiamo in mano.
Oggi siamo tutti d’accordo che un dischetto di metallo equivale ad un pezzo di pane, cibo concreto e commestibile, o che un ritaglio di carta colorata equivalga ad un’intera cena, o ad un oggetto la cui costruzione ha coinvolto diverse persone, processi ed attrezzature sparse ai quattro angoli del pianeta, domani potrebbero ridiventare un semplice dischetto di metallo ed un ritaglio stropicciato di carta colorata.
Oggi potremmo pensare di andare a vivere in una nuova area residenziale, ben collegati da una rete stradale ad una varietà di centri commerciali, aree ricreative, luoghi di lavoro. Domani potremmo realizzare di aver comprato casa in un luogo dimenticato da dio e dagli uomini, troppo lontano da ogni area di un qualche minimo valore ed interesse contingente, senza fonti energetiche, o macchine manufatturiere, o terra coltivabile, privati, dalla crisi energetica, della maniera di spostarci rapidamente da un luogo all’altro.
Non è un caso se nei secoli le comunità si sono strette intorno a piccoli borghi autonomi, in cui accanto alle abitazioni prosperavano commercio ed artigianato, circondati da mura che li rendessero facilmente difendibili, e da aree agricole in grado di sostentarne la popolazione. La disponibilità di energia a costi bassissimi ha capovolto questo assunto, producendo il fenomeno dell’urban sprawling, la fuga verso i sobborghi, la proliferazione di villette e seconde case, la cementificazione su larga scala del territorio agricolo.
Costruire l’attuale organizzazione urbanistica ha richiesto più di un secolo, ma c’è da chiedersi se i presupposti in base ai quali si sia prodotta siano solidi, e quanto se ne salverà nel momento in cui tali presupposti dovessero nuovamente capovolgersi. Da un altro punto di vista, però, occorre valutare la distruttività intrinseca di questo modello di sviluppo, e domandarci quanto se ne salverà se i presupposti dovessero invece rivelarsi validi.
Abbiamo qui, a mio parere, due opzioni: da un lato il crollo della civiltà, ed il ritorno ad organizzazioni sociali caratteristiche di epoche lontane, una sorta di “nuovo medioevo” prossimo venturo, dall’altro la continuazione della “crescita”, con conseguente progressiva distruzione di risorse, territorio, aria, acqua, in vista di un olocausto finale ancora più catastrofico, o della totale perdita della nostra umanità.
La terza opzione, quella di un ravvedimento collettivo, mi pare estremamente improbabile, ma forse è l’unica su cui valga la pena di fantasticare. Proviamo dunque ad immaginare che si inverta l’attuale tendenza a farci governare da arrivisti incolti e truffaldini, e si riesca a mettere in posti decisionali persone intelligenti, competenti e dotate di lungimiranza.
La prima questione da affrontare sarà la riduzione della dipendenza dai consumi energetici, che potrà essere affrontata sul breve periodo con sacrifici (case più fredde, meno illuminate, tempi più lunghi per gli spostamenti), e sul lungo termine con sistemi di risparmio energetico, fonti rinnovabili ed una riorganizzazione del territorio volta a minimizzare la necessità di spostare persone ed oggetti da un luogo all’altro.
Al posto di grandi città complessissime e fragili avremo insediamenti produttivi semi-autonomi simili ai borghi medievali, strutturati per rispondere al meglio ad esigenze produttive agricole o industriali, collegati da linee ferroviarie efficienti, di basso costo e manutenzione.
La produzione manifatturiera sarà caratterizzata da oggetti molto resistenti, duraturi e facilmente riparabili, e sul fronte opposto da materiali “di consumo” naturali e interamente riciclabili. Al posto di sterminate periferie di case monofamiliari isolate avremo piccoli borghi con collettività socialmente molto integrate, e con gran parte dei servizi e degli spazi in comune.
La ridotta esigenza di un ricambio continuo di oggetti d’uso comune farà sì che la gente che vivrà in questo ipotetico mondo di domani rischierà di avere molto tempo libero a disposizione per attività sportive, escursioni, attività culturali e per lo studio. La rete internet continuerà ad esistere, accessibile da spazi pubblici e privati, e diventerà la vera biblioteca del mondo, anche se i libri continueranno ad essere pubblicati perché economici, durevoli e, all’occorrenza, riciclabili.
Messa così non sarebbe un brutto mondo per viverci, anzi, rispetto all’attuale avrebbe addirittura dei grossi vantaggi, ma appunto per questo lo considero un’utopia non destinata a realizzarsi, perlomeno nell’arco delle nostre vite. La nostra specie non si adatta facilmente a forme relazionali ragionevoli e pacifiche, preferisce piuttosto esplorare i territori violenti e sanguinosi della guerra e della distruzione reciproca.
Complimenti per il lungo ma ispirato articolo che hai scritto.
Mi sento molto vicino alle tue posizioni e solidale con le tue analisi.
Ti vorrei suggerire (ma davvero con forza) di vedere, se già non lo conosci, questo film:
Il Pianeta Verde (Coline Serreau 1996)
Credo potrà offrirti veramente tanti spunti per post di analisi sistemica su dove sta andando questo bistrattato pianeta.
Paolo Marani
MIZ – Cesena
Grazie della segnalazione, cercherò di recuperarlo.
quando lo trovi lo guardiamo assieme…
Quello che mi fa specie è che in città come Roma, molti di noi si spostano da per andare A lavorare in B dove produrranno elaborati di concetto che potrebbero tranquillamente viaggiare in rete senza dover implicare l’immane dispendio di energia e tempo.
Cerco di essere più chiaro, abiti in periferia (e secondo me già sei messo meglio di chi vive in un quartiere satellite con villini a schiera), hai la fortuna di avere la metro vicino casa che ti conduce comodamente sul posto di lavoro, la prendi pe revitare di prendere l’auto perchè tieni all’ambiente e eticamente sei contrario allo star chiuso in un auto che ti isola dal mondo esterno, arrivi al lavoro, ti siedi alla scrivania e collabori con i tuoi colleghi per produrre documenti frutto dell’ingegno e del sapere, della manualità artigiana, alla fine della giornata prendi e te ne torni a casa. Facciamo 40 minuti ad andare e 40 al ritorno, con conseguente consumo energetico e caos in giro per la città, mi spieghi che ci sei andato a fare? Non potevi farlo da casa?
Spero che alcune di queste considerazioni, da sempre vicine alle tue e diffuse tra tutti noi arrivino presto ad illuminare le menti di chi ci dirige. Alle volte mi sembra di essere un bene strumentale alle poltrone del potere.
Una cosa che mi lascia perplesso sul tuo ragionamento è come faremo a capire e valutare il grado di preparazione, intelligenza e lungimiranza delle persone dalle quali vorremmo farci rappresentare e governare.
M!!!
caro mammifero,
sull’alienazione della finanza e scienza economica moderna sottoscrivo ampiamente. l’economia mondiale è, al momento, quasi totalmente slegata dalla realtà del mondo fisico. dico quasi perché, volente o nolente, quell’economia si trova ad operare qui e non nell’iperuranio. inevitabilmente con questa realtà si troverà a dover fare i conti.
anzi, sta già succedendo. quanto tempo prenderà, questo è un altro discorso.
il risultato dovrà essere necessariamente la fine di questa studpidissima crescita, ed è probabile che la via che imboccheremo sarà quella non volontaria, la più dolorosa.
me ne farò una ragione, a me è sempre piaciuto mad max.
ps
ovviamente se domani i petrolieri texani fanno una partnership con gazprom e il partito comunista cinese e iniziano a colonizzare alpha centauri quanto detto decade. ma, non so perché, non credo succederà.
Se non mi sbaglio si tratta dell’ampliamento della discussione che già abbiamo avuto sul blog dell’Infido qui sopra, quindi sai già come la penso. Se il progresso mi fa spendere 100 euro per un litro di benza che mi fa fare cento chilometri, invece che 1 euro per cento litri che mi fanno sempre fare centro chilometri, ben venga. L’epoca della pietra non è finita perchè sono finite le pietre ma è anche vero che non esitono i produttori di pietre, come ebbi a dire in passato non mi ricordo dove.
Poi d’accordissimo con M., che sostiene l’unitilità di correre su e giù come deficienti. Io vado a lavorare a piedi e quando posso lavoro da casa, tanto dove li scrivo i miei pezzi è uguale. Ma è una scelta che ho fatto rinunciando a opportunità (non da poco), e non so quanti altri farebbero.
Yod
Senti questa: a Monfalcone abbiamo da un anno intrapreso la raccolta differenziata, e ancora adesso c’è gente che si lamenta perchè ha la casa ridotta a una discarica (che poi non è vero).
E vaffanchiappola, se non ce l’hai tu ce l’avranno i tuoi figli, porco cane, e forse qualche mio piccolo sforzo in tal senso potrà fare un mondo un po’ più decente tra due, tre, dieci o cinquant’anni.
Credi che a loro importi? Niente affatto, l’importante è Not in my backyard, naturalmente.
Yod
@ M
La questione che poni non è peregrina, il telelavoro è un’opportunità, ma di fatto se devi relazionarti con persone reali la maniera migliore di farlo è ancora quella vis-a-vis. Però mi aspetto che il delirio attuale, in cui un abitante di Roma Nord fa venti chilometri in macchina ogni giorno per andare a lavorare all’EUR, e contemporaneamente c’è chi ne fa altrettanti per andare dall’EUR a Roma Nord possa cessare. Fin qui si è rovesciato sugli operai l’onere di provvedere ai propri trasferimenti, seducendoli con lo “status symbol” a quattro ruote, più in là sarà meno facile, e la maggior parte di noi farà in modo di abitare vicino al posto di lavoro
(e le periferie dormitorio si svuoteranno).
Il grado di preparazione dei politici si può valutare in base a quello che nel concreto hanno realizzato. Non come adesso che la gente vota in base alle comparsate televisive.
@ Zimisce
Gazprom si ripromette di approfittare del Global Warming per trivellare il polo nord, ahinoi!
Ne approfitto per segnalarti una discussione sul sito di ASPO-Italia sul “Picco dell’Impero Romano”.
@ Yod
Le pietre non sono una risorsa finita, non per l’uso che se ne è fatto, il petrolio sì.
Sulla raccolta differenziata, direi che magari aiuta a rendersi conto di quanti rifiuti si producono, ed a ridurli alla fonte. Un’altra cosa di cui dovremo prima o poi liberarci è questo delirio del “packaging”, che arriva a costare più dei prodotti che vi sono contenuti.
Credo che finiremo prima noi che il petrolio, purtroppo.
E sulla questione del packaging mi trovi d’accordo, ma per esperienza personale (ho lavorato anche un supermarket, decenni fa) ti dico che per il 90% delle volte l’imballaggio enorme serve a rendere difficili i furti. Poi, è vero, c’è il riutilizzo. Per esempio in Germania non recuperano il vetro, lo riutilizzano: tu rendi una bottiglia di coca cola, loro la sterilizzano, la riempiono e te la vendono.
Domanda fatta a mia sorella: “E perchè non facciamo in Italia?”
Risposta sua: “Le mie amiche non vanno nemmeno in autobus per non sporcarsi e vuoi che bevano dalla bottiglia di un altro?”
Yod
Pierfrà;
torniamo al problema di fondo, è prima di tutto una questione di cultura, di apertura mentale, di modificare il punto di vosta sulle cose e quando mai chi “ti” comanda ti offrirà l’opportunità di fare il salto? goditi la comparsata telavisiva anzi, guardati le cagate medie della TV, non di informare, non partecipare, delega ad altri che ti spianeranno una strada di disimpegno culturale, sociale e lavorativo, rendendoti schiavo di “bisogni” effimeri offertiti dalla scatola.
L’impiegato, l’operaio così come il laureato che magari guadagna qualcosina in più, che fa 20 km ad andare e altretanti a tornare, chiuso nella sua bella scatoletta acquistata a rate e agogna il cellulare da 400 euri con il navigatore satellitare per fare tutti i giorni la stessa strada, è un coglione che si beve belle necessità suggeritegli e che ha scelto di non filtrare. Sia chiaro che non voglio offendere nessuno nè penso di essere migliore di altri, pongo qui delle considerazioni personali fatte tempo addietro, sulle quali ho cercato di impostare la mia vita, non vuol dire che non sputtani dei soldi in cose che altri possono giudicare inutili, cerco solo di farlo ponendomi degli obiettivi personali.
Nel mio piccolo cerco di essere partecipativo e criticamente costruttivo anche se in un contesto urbano che spinge all’alienazione dell’individuo, all’autosegregazione e via dicendo.
La raccolta differenziata, non la faccio perchè mi dicono di farla, la faccio perchè è imprescindibile che si debba fare, , riduco gli sprechi non percgè mi è stato suggerito ma semplicemente perchè è meglio, evito di acquistare l’inutile, per lo stesso motivo.
Ribadisco non penso di essere meglio degli altri, solo un pochino più critico nelle scelte.
Non si può criticare il servizio pubblico se non si prende l’autobus, inizia a prenderlo e condividi le tue stesse esigenze con gli altri, fai massa critica, forma l’opinione pubblica a forza le leve di chi governa pretendendo ciò di cui hai bisogno e diritto.
Al contrario, noto intorno a me sempre più individualismo e mancata partecipazione, l’auto ne è solo un simbolo, una manifestazione, non la causa; la scegli come “status symbol”, ti ci chiudi dentro e non ti rendi conto ti isoli dai tuoi simili.
M!!!
Caro Marco , concordo pienamente con la tua tesi che le scienze economico/finanziare sono una fede e che presto o tardi saranno sostituite da nuove fedi o quanto meno “riformate”.
Personalmente credo che nei prossimi decenni, esauritosi il volano dell’attuale modello di sviluppo, si tornerà verso modelli che più attenti alle risorse naturali che prima o poi tenderanno ad esaurirsi, la terra è un sistema finito e come tale non può espandersi all’infinito.
Il vero problema però risiede nel numero di “esseri umani” che il pianeta può sostenere e l’ho scritto tra virgolette perché intendo dire di persone che possano avere una vita dignitosa e non al limite della sopravvivenza.
La soluzione di questo problema noi non la vedremo, possiamo solo fare congetture o elaborare modelli matematici e poi esprimere la nostra opinione che potrà essere pessimistica e confutata da “parla sempre di un futuro trionfale” per dirla con Guccini o ottimistica secondo il pensiero di Fourier (e sempre confutabile da chi ci darà dei comunisti).
Michele
ps il tuo “nuovo medioevo” mi ha fatto tornare alla mente un vecchio libro di Roberto Vacca “medioevo prossimo venturo” in cui già negli anni ’70 si analizzavano scenari neomedievali.