Oggetti ed abitudini demarcano i confini della psiche, li usiamo per tracciare il discrimine tra ciò che è "me" e ciò che è "non me". I giovani hanno una percezione meno netta di questi confini, una definizione meno precisa del "sé", e sono propensi ad espanderli fin dove possibile, correndo anche dei rischi. Gli anziani no.
Da questa mia "età di mezzo" posso osservare l’evoluzione nei comportamenti nei coetanei, e scoprire i piccoli segnali di trasformazione che lentamente marcano il passaggio tra l’età giovanile, quella della scoperta, e l’età adulta, quella della "consolidazione". Sono per solito cose minime, e quasi sempre negazioni.
"Non posso fare questo gesto", oppure: "non mi sento più portato a prestare le mie cose"; o ancora: "sono troppo stanco e domani mi aspetta una giornataccia". In genere si è consapevoli di quando si comincia a fare una cosa nuova, ma non lo si è altrettanto di quando si smette di fare una cosa prima abituale.
È vero anche che il cercare di andare "oltre" raramente lascia indenni: spesso si resta feriti, e le ferite si accumulano nel tempo. Avvicinandoci ai limiti della nostra esperienza si incontrano cicatrici. Alcune leggere, che ci provocano solo disagio, altre più profonde, che ci sbarrano il passo.
Queste nostre nuove "barriere" vengono archiviate solitamente sotto l’etichetta "esperienza", e le consideriamo una forma di auto-protezione. Ma sono anche segnali di una progressiva "perdita di slancio", di opportunità che ci neghiamo, di soglie che non riusciremo più ad oltrepassare, se non a prezzo di grande fatica.
Da giovani si ritiene di poter compiere gesti anche sconsiderati a cuor leggero, perché la nostra definizione di "sé" è sufficientemente vaga da portarci a ritenere che le conseguenze dei notri gesti non la influenzerà più di tanto. Da adulti sappiamo già che la nostra definizione di "sé" dipende da tanti, troppi, fattori concomitanti, e diventiamo via via meno inclini al cambiamento.
L’idea che abbiamo di noi stessi si irrigidisce, ci immobilizza ed infine ci imprigiona.
Caro Marco! Oggi ho letto una notizia grave che ha da fare un po’ con il tema del tuo articolo. Secondo una statistica dell’ufficio federale Svizzero per le strade fra 1994 e 2005 l’uso della bicicletta da parte dei bambini ed adolescenti è sceso di 40 per cento! 40 %!! Benché, come scrive l’associazione Pro Velo Schweiz, ci sono abbastanza biciclette nel paese. Oggi cinque giovani (intorno a 15 anni) nel treno hanno detto a un ciclista (anziano; non ero io): “He, ciclista! Sai che quando vai con la bici avrai un cancro del pulmone, sarai impotente anche!” I giovani già sono immobilizzati, rigidi, pigri, inoltre non vogliono uscire dal gruppo, hanno bisogno di essere accettati (forse più di noi). Perciò il trend contro la bici è un segno negativo; i genitori portono i bambini al kindergarten, gli adolescenti voglione essere considerati “cool”, e tutto questo è un elemento di stagnazione. Strano, o? Ciao Manfred.
Nulla di quanto scrivi mi stupisce. L’adolescenza è un momento di passaggio, ormai sempre più prolungato ed indefinito, in cui si rimettono in discussione le cose che ci sono state insegnate.
Era così per la nostra generazione, che produsse contestazioni studentesche, ma oggi in gran parte non lo è più, soprattutto perché il “sapere” che ci viene fornito viaggia attraverso canali differenti.
E’ relativamente semplice rivoltarsi contro un’istituzione opprimente, burocratica ed in qualche misura oppressiva come la scuola, molto meno farlo contro una divertente e seducente come la televisione.
Per cui il doppio pessimo risultato è che non solo abbiamo delegato in larga misura l’educazione (civica, etica e morale) dei nostri giovani all’industria dell’intrattenimento, acritica e massificante, ma ciò li ha anche privati di quegli “anticorpi culturali” necessari a farli reagire all’indottrinamento e maturare come individui.
Voglio sperare che la mia lettura del reale sia come al solito troppo negativa, purtroppo è quello che vedo intorno a me.
Si tutto coerente cio’ che scrivi e lo constato dall’ “alto” dei miei 48 anni.
Però dimentichi che alcuni di noi (almeno è quello che vorrei perseguire io…) cammina verso una maggiore essenzialità, che vuol dire agilità e l’abbandonare pesi inutili; per che cosa se non correre + veloci ?