Papalagi

Questo libriccino minuscolo, pubblicato una quindicina d’anni fa dalle "Edizioni Millelire", è stata una delle pietre miliari della mia presa di coscienza ambientalista. Papalagi è un po’ un "unicum", una sorta di "saggio antropologico" a rovescio in cui il re di un cosiddetto "popolo primitivo" descrive alla sua gente l’occidente industrializzato dell’inizio del ventesimo secolo.

Il libro raccoglie i discorsi di Tuiavii di Tiavea, capo delle isole Samoa, alla sua gente, effettuati al ritorno da un viaggio in Europa nei primi del ‘900 fatto per vedere e comprendere la civiltà che gli uomini bianchi (i "Papalagi" del titolo) stavano importando nell’arcipelago. Uno studioso tedesco, Eric Scheurmann, colpito dalla lucidità di tali descrizioni, le trascrisse e pubblicò nel 1920.

Cosa vide e narrò, dunque, Tuiavii di Tiavea dell’Europa? Dal suo punto di vista, difficilmente contestabile alla luce del puro buonsenso, egli sperimentò un mondo completamente folle, incomprensibile ed autodistruttivo.

Spiegò al suo popolo l’ossessione dei Papalagi nel ricoprire e nascondere i propri corpi, fino al punto da divenire incapaci di gioirne, e di come vivessero in "cassoni di pietra" freddi e disumani, raggruppati in "isole di pietra" denominate città.

Provenendo da una cultura nella cui lingua esisteva una sola parola per i concetti di "tuo" e "mio", descrisse la divorante avidità dei "Bianchi" per "il tondo metallo e la carta pesante" (il denaro), che li portavano ad ignorare le sofferenze dei loro fratelli ed a ridurli in schiavitù.

Raccontò di come i "Papalagi" pretendessero di possedere ogni cosa, anche quelle appartenenti al "Grande Spirito" (la terra, gli alberi, le foreste), e di come essi "rubassero" queste cose a Dio per distruggerle e trarne oggetti brutti ed inutili, oggetti del cui possesso diventavano poi totalmente dipendenti.

Narrò, con una lucidità che davvero lascia di sale, la passione dei Papalagi per "il luogo della falsa vita" (il cinema) e le "molte carte" (i giornali), ed ecco come concluse:
"Il luogo della falsa vita e le molte carte hanno reso il Papalagi ciò ch’egli è ora: un uomo debole e smarrito, che ama ciò che non è vero, che non riconosce più ciò che è vero, e prende il riflesso della luna per la vera luna e una stuoia scritta per la vita stessa."

Ed è inutile dire che questi siamo noi, a distanza di molti decenni, sempre più alienati e folli, sempre più distanti dalla vita vera e dalla realtà, succubi di sogni e desideri che altri costruiscono per noi, ed ai quali vendiamo l’anima.

Non è dato sapere se quanto affermato nel libro corrisponda alla realtà dei fatti, se Tuiavii sia mai esistito ed abbia visto l’Europa o se il tutto sia frutto di un’elaborazione di Scheurmann del pensiero dei samoani. Ed in realtà poco importa.

Le parole di saggezza di Tuiavii di Tiavea/Scheurmann sono ormai quasi del tutto dimenticate, a fatica reperibili in librerie pur traboccanti di ogni sorta di sciocchezze. In compenso, salvate dalla Rete, sono liberamente disponibili per chi abbia voglia di leggerle per rimettersi in discussione fin dalle radici.

6 pensieri su “Papalagi

  1. Caro Marco! È vero, poco importa se inventato. O – un piccolo inganno è, perché l’autore ci fa credere che tutto sia vero. Ma è saputo che Erich Scheurmann ha passato un anno in Samoa in 1913 (in quei tempi era una colonia tedesca), e la guerra l’ha costretto a ritornare (non poteva rimanere?). Poi ha scritto questo bel libro con la sua critica personale del nostro mondo di 1915. Si tratta quindi di letteratura. Hans-Peter Duerr ha menzionato il caso nel suo libro su “inganni nell’etnologia”. Così prendiamo il libro come un bel sogno, come fantascienza forse (ancora oggi, quasi cent’anni dopo, troviamo qualcosa di giusto). Un caso interessante. Ciao Manfred.

  2. Pingback: L’umanità disintegrata | Mammifero Bipede

  3. Bello. Sembra, come concetto le “Lettere Persiane”. Sicuri che non l’abbia scritto l’antropologo tedesco e che il capo polinesiano non sia un’opportuna invenzione?

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