Trasferimento orizzontale di senso

Lo spunto per questa riflessione me l’ha dato la canzone “Space Oddity”, di David Bowie, trovata citata in un giallo fantascientifico che ho da poco iniziato. “Space Oddity” esce alla fine degli anni ’60, quindi in piena ‘corsa allo spazio’. È il racconto in soggettiva un naufragio spaziale: un incidente a causa del quale l’astronauta protagonista si perde nel vuoto cosmico.

“Planet Earth is blue
and there’s nothing I can do”

Con quella assoluta indeterminazione che regola l’arte, oggi questa canzone ci suona profetica, e molto più attuale di quanto probabilmente non apparve nell’epoca in cui fu composta. Anche, a suo modo, ci pare molto ingenua, di un’ingenuità in cui ci riconosciamo. Siamo tutti “Major Tom”, abbiamo tutti perso qualcosa, che specularmente non è la Terra, ma lo spazio, gli altri mondi, il resto dell’Universo.

Ed in ogni caso la riflessione è sul senso: di una canzone, di un’emozione, di una situazione. Assegnare un senso a qualcosa richiede chiavi interpretative che non sono date, ce le forniamo da soli con la crescita, con lo studio, con la conoscenza del mondo e degli altri.

Allora accade che il senso di qualcosa possa essere completamente diverso per due persone di differenti età, cultura, estrazione sociale. Maggiore è la complessità del contesto nel quale l’evento viene inserito, diverso sarà il senso derivante dalla sua contestualizzazione, ma questo ci insegna anche che non è possibile, se non a prezzo di grandi fatica e disponibilità, condividere questo senso con altri.

L’oggettività è impossibile: per pervenire a considerazioni analoghe, anche solo su un semplice brano musicale, bisogna possedere un comune background, condividere chiavi interpretative, avere perfino gusti simili, ed anche così nulla impedisce di avere opinioni assolutamente divergenti, per dire, su un altro brano musicale.

E la pretesa di assegnare un senso alle cose, e consegnare questo senso ai posteri, che ha l’arte (la pittura, la letteratura, la musica), appare di fatto effimera. Sperare in un “trasferimento verticale” del senso, attraverso strati di tempo, situazioni ed esperienze che finiranno col rendere incomprensibile quasi ogni cosa, appare ancora più assurdo alla luce del fatto che non siamo in grado di operare neppure un trasferimento “orizzontale” di senso, alle persone che ci sono più vicine, se non in maniera parziale e con molta fatica.

Per questo ascoltando Bowie, e trovandolo amorevolmente citato in un libro, ci sembra così miracoloso che, a distanza di anni, una canzone possa suonare le stesse corde per tante persone diverse, che magari sono nate e l’hanno conosciuta solo molti anni dopo la sua uscita. Si ha quasi l’illusione, per un attimo, che sia realmente possibile il comprendersi a vicenda.

2 pensieri su “Trasferimento orizzontale di senso

  1. Ciao Marco! Fantascienza, ma anni sessanta, chiarissimo. “Ground control to major Tom” … bellissimo, sono anni che non ho sentito questo brano. Hai scritto della “indeterminazione che regola l’arte”, dell’impossibilità dell oggettività. Io ero sempre un po’ ossessionato dal pensiero che ci dev’essere un modo “scientifico” nella letteratura per produrre certi emozioni. Invece alcuni giorni fa mi sono detto: No. L’arte e la lingua sono talmente complesse che non ci sarà mai una trasmissione 1:1. Veramente, ci vuole lo spirito, la magia: un’elemento di più. E questo è bello. Come ha scritto Platone (che peraltro ce l’aveva con gli artisti): Le opere di un’autore che sempre opera con chiarezza e logica verranno sempre superate (o oscurate) dalle opere di uno scrittore che e preso dalla pazzia dell’artista. Ciao Manfred.

  2. Se il mondo fosse davvero prevedibile al punto da poter suscitare le emozioni a volontà, forse sarebbe anche molto noioso.
    Io credo che non esista un modo codificato per dare emozioni agli altri, forse l’unico modo possibile è provarle in prima persona, e poi cercare di raccontarsele nella maniera più efficace possibile.
    A volte un po’ delle emozioni contenute nel racconto, visivo o letterario che sia, si riesce a farle arrivare anche ad altri che quelle emozioni non hanno provato, ma ne hanno sperimentate di simili.

    Forse la cosa più difficile è far comprendere le emozioni a chi non le ha mai provate… e temo siano più di quanto possiamo immaginare. :-/

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