
Di venti racconti, molto diversi tra loro ma tutti stimolanti, quello che mi è piaciuto di più è "La notte del tempo" di Robert Reed che arriva, al termine di un affresco di respiro epocale, ad affermare una verità semplicissima, ma molto profonda sull’animo umano.
Delude invece "Artificial kid" di Bruce Sterling, almeno per me che ho sempre apprezzato la caustica vena politica di uno dei due "padri del Cyberpunk", lontano anni luce dalla critica sociale ed economica di "Caos USA" e dalle geniali intuizioni dell’ormai antico "La matrice spezzata" questo romanzo sembra una versione aggiornata degli affreschi "paesaggisti" di Jack Vance.
Molta coreografia ma personaggi privi di spessore e di fascino, inseriti in un plot non particolarmente entusiasmante se non per le trovate "scenografiche" determinate dal bizzarro mondo in cui si trovano ad agire. Non un brutto libro, ad ogni modo, ma Sterling ci aveva abituato a ben altro.
L’ultimo, iniziato in Albania e finito pochi giorni fa, è uno di quei "classici" che periodicamente vengono ripubblicati solo per tornare nuovamente nel dimenticatoio per lunghi anni. "Morire dentro" di Robert Silverberg è un romanzo controverso e difficilmente catalogabile, a farla da padrone non sono scenari futuribili o innovazioni tecnologiche, bensì la situazione inconsueta data dal "dono" che possiede il protagonista di leggere nei pensieri più riposti degli altri. Il tutto, per di più, in un’ambientazione contemporanea che di più non si può (la New York degli anni ’70, che già adesso ci appare lontana nel tempo) fa di questo libro la fotografia di un momento storico, delle sue tensioni ed aspirazioni.
Tra conflitti psicologici irrisolti, spaccati di personalità complesse, ossessioni sessuali e limiti umani insormontabili (da cui il fatto che da questa sua capacità straordinaria egli riesca a ricavare poco o nulla di vantaggioso) il telepate Selig ripercorre le tappe della sua vita, cercando da un lato di accettare la perdita del suo potere e della sua unicità, dall’altro di trovare nuove motivazioni nel doversi rapportare agli altri su un piano di parità. Fino a scoprire, alla fine dei conti, che un potere di questo tipo è probabilmente preferibile non averlo.
Come per "Vacanze nel deserto", altro suo capolavoro dello stesso periodo, anche qui il pretesto fantascientifico (o "fantasy") serve a Silverberg per scavare a fondo nell’animo umano, regalandoci una storia avvincente ed inquietante.