Passeggiando a Kruja

21 agosto
In assenza di "esigenze ciclistiche" oggi ci alziamo senza fretta. La proposta scaturita nella serata di ieri è di impegnare la mattinata in un’escursione a piedi, ed il pomeriggio nella visita al castello ed ai suoi musei. L’idea di scarpinare è nata da un suggerimento di Artim, confermato dal sindaco, riguardo ad un sentiero che si arrampica su per la parete montana che domina Kruja, e sale ad un rifugio visibile anche dalla città.

Nell’attesa che anche gli altri siano pronti per la camminata documento la nascita di un "ecomostro" proprio di fronte al nostro albergo.

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Se già questa specie di "torta di cemento" vi sembra orribile, date un’occhiata al progetto finale, efficacemente illustrato nel tabellone esplicativo.

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Sopra la "torta" saliranno altri "dieci piani di orridezza", e la montagna scomparirà alla vista. Se qualcuno presentasse un progetto del genere in Germania probabilmente lo rinchiuderebbero in manicomio. In Italia ci sarebbero battaglie ambientaliste e la questione rimbalzerebbe per anni sui giornali, finché, sperabilmente, il progetto non sarebbe fermato e/o la struttura ridimensionata o demolita. In Albania, come dice Altim: "no problema"!

Cercando di non pensarci ci facciamo accompagnare all’inizio del sentiero e cominciamo l’arrampicata.

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In realtà si tratta di qualcosa di più di un sentiero. La sede è larga mediamente più di un metro e le pietre disposte a formare una vera e propria strada, che nei tratti più impervi assume la forma di una scalinata.

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Saliamo e saliamo su per i 600 metri di dislivello, mentre sotto di noi la pianura si apre in una vista spettacolare. Nonostante il sole a picco la quota si fa sentire ed il caldo non è eccessivo. Difficile spiegare il fascino di quest’antica gradinata. C’è il silenzio, la natura tutt’intorno, e la sensazione di qualcosa di antico che continua a durare. Saliamo con reverenza, come al cospetto di un’antica cattedrale, o di un tempio. In certi punti sembra quasi l’ambientazione di un qualche film di fanta-archeologia alla Indiana Jones.

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Arriviamo in cima, sulla terrazza panoramica, e ci fermiamo ad ammirare lo spettacolare scenario che si stende sotto i nostri piedi.

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Ma l’idillio è di brevissima durata, giacché micidiali le zaffate di un tanfo repellente ci aggrediscono le narici: l’intero lato sinistro della spianata panoramica affaccia su una madornale discarica.

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Insieme a plastica, bottiglie ad altri materiali non biodegradabili ve ne sono altri, biodegradabili ma decisamente più pestilenziali, scarti di macellazione animale, interiora. Ci allontaniamo in fretta, meditando sulla leggerezza con cui in Albania ci si disfa della spazzatura, deturpando luoghi idilliaci con la massima indifferenza.

È sicuramente una distanza di natura culturale, che sta tutta nel non riuscire a percepire determinati valori come l’ordine, la pulizia, la bellezza della Natura incontaminata. Ma d’altro canto questa sensibilità nasce in noi dal fatto di aver già più che abbondantemente devastato e violentato la Natura, nei luoghi in cui viviamo.

Indubbiamente l’Albania vive oggi il passaggio da una cultura contadina, in cui pochissime cose venivano scartate, e tutte di natura biodegradabile, ad una società industriale dominata dal mito del "packaging", dal consumo sfrenato di imballaggi non riusabili, senza aver avuto il tempo di elaborarne la sostanziale differenza. Quanto impiegheranno ad imparare a smaltire nelle discariche gli imballaggi non riusabili?
(ma soprattutto: quando impareremo, tutti, a farne a meno?
)

Prima di ritornare giù ci affacciamo ad esplorare una bizzarra costruzione, seminascosta nella parte rocciosa, cui si arriva scendendo una breve scalinata.

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Si tratta di una sorta di eremo, o santuario, musulmano. C’è una fonte, ed uno spiazzo dove, arguiamo dalle macchie di sangue rappreso e dai ganci appesi, vengono macellati degli ovini, forse con finalità religiose. Per quanto disgustosi possano sembrare ai nostri occhi, i riti di macellazione avevano un senso profondo, non solo religioso, nelle culture dei paesi a clima caldo, contribuendo a salvaguardare la salute delle popolazioni dagli enormi problemi legati alla conservazione dei cibi. Varchiamo il portale di pietra e siamo in una rientranza della montagna, dove troviamo delle sepolture ed una sorta di tempietto.

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Pur con i dovuti distinguo, non c’è poi molta differenza rispetto alle grotte sacre ai cristiani, a me ricorda molto da vicino quella che si trova accanto al santuario della Mentorella, sui monti Prenestini.

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Dopo una ridiscesa, che sembra perfino più lunga della salita, ed un pranzo all’aperto nel ristorante dentro al castello, optiamo per una passeggiata all’interno del perimetro delle mura. Oltre al bar e al ristorante (che ormai ci sembrano inevitabili…) troviamo delle vecchie case ancora abitate, un antico bagno turco in stato di abbandono, un luogo di preghiera della setta musulmana bektashi ed il museo etnografico.

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Non paghi di quello già visto a Berat visitiamo anche questo, guidati da un gentilissimo signore che, in un buon italiano, ci delucida su usi e costumi ottocenteschi delle famiglie agiate albanesi.

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Poi è il momento del museo Skanderbeg.

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All’interno, tanto per cambiare, è vietato scattare foto, ma c’è ben poco che valga la pena di essere fotografato. Il cosiddetto museo è in realtà composto da una serie di sale dove statue, dipinti ed affreschi rappresentano in maniera molto fantasiosa la guerra d’indipendenza condotta da Giorgio Castriota per liberare l’Albania dall’occupazione turca.

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Pochissimi oggetti antichi, scarni pannelli illustrativi con testi solo in albanese, riproduzioni dell’elmo e della spada (oggi in mani austriache) anch’essi abbastanza di fantasia, dal momento che la scimitarra ricurva collocata nella bacheca poco somiglia al dritto spadone originale ritratto nella foto postavi accanto. A noi serve più che altro per misurare la distanza abissale tra l’idea italiana di un allestimento museale e quella che dovevano averne Hoxha ed i suoi.

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In conclusione la serata viene abbastanza guastata da una interminabile, pesante ed a mio parere abbastanza sterile discussione col nostro autista per il pagamento di quanto pattuito.

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Da principio la cifra richiesta sembra a più d’uno eccessiva, quindi ci si avvita per oltre un’ora su interpretazioni più o meno letterali e/o puntigliose dell’accordo originariamente stipulato, nella convinzione (che sento di non condividere) che qui ogni cosa vada sempre e comunque contrattata. A parte il "sangue amaro", un’ora spesa per strappare uno "sconto" di quaranta euro (quattro euro a testa…) su una cifra che alla fine ci sarà pure rimborsata… secondo me non ne valeva la pena.

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