Il Senso Segreto

Image Hosted by ImageShack.usManco da un po’, ma vedrò di rifarmi. Anzi, probabilmente a questo giro sarò un po’ prolisso, per cui mettetevi comodi. Tutto iniziò nel lontano… 1979? 1939? Cominciamo dalla fine.

Sabato scorso ero a casa di parenti, col mio telescopio “da campo”, il piccolo Meade ETX da 70mm di diametro montato in giardino per osservare l’eclissi di Luna. Tra una nuvola e l’altra “acchiappo” anche Saturno, e si scatena il consueto coro di “Oooh!”, “Incredibile”, “Fantastico”, poi la Luna inizia ad entrare nel cono d’ombra della Terra ed io ho un Flashback di venticinque anni fa: la mia prima eclissi di Luna, vista dal terrazzo di casa.

Dev’essere stato questo che ha sbloccato il ricordo di un racconto di Isaac Asimov che parlava di Marziani. Già, i Marziani. Icona pop fino agli anni ‘50, già nel ‘79 erano ridotti a poco più che qualche riga sui libri di archeoastronomia, e relegati alle ristampe di vecchie storie di fantascienza, che comunque Mondadori non ci faceva mancare. Sul finire dei ‘70 Urania aveva ancora l’ardire di pubblicare, assieme ad autori pregevoli, scrittori assolutamente impresentabili, Philip Dick era ben lungi dall’aver riconosciuta in vita la gloria postuma che oggi lo rende un oggetto di culto, e l’autore più gettonato era proprio il “buon dottore”: Isaac Asimov.

Il racconto, intitolato “il senso segreto”, parla di un popolo di Marziani umanoidi, in cui tutti i cinque sensi umani sono estremamente flebili, ma compensati in ciò da un “sesto senso”, la capacità di percepire le correnti elettriche, che in noi umani risulta latente ma completamente atrofizzato. Il protagonista, terrestre, dapprima prova pietà per queste povere creature dalle percezioni ridotte, ma quando i marziani si offrono di fargli provare, per un’unica ed irripetibile volta, l’emozione di comprendere di che si tratti, ne ha un’esperienza assolutamente fantasmagorica. Il guaio è che, passato il breve lasso di tempo in cui il suo “senso” latente è stato risvegliato, il collasso della immaginaria “glandola” responsabile della percezione lo rende di nuovo, e per sempre, cieco all’esperienza, con in più la disperazione di aver conosciuto una tale meraviglia ed averla persa per sempre.

Una curiosità: ripescando nella libreria il vecchio volume, datato appunto 1979 ed all’epoca acquistato nuovo fiammante in edicola, leggendo le note ho scoperto che tale racconto, scritto nel 1939, non fu mai venduto, se non per la cifra simbolica di cinque dollari!

All’epoca storie simili venivano ancora considerate dei “classici”, e la fantascienza godeva di buona salute. Non ci si era ancora resi conto che la corsa allo spazio era già finita, e non si poteva sapere che a trent’anni di distanza avremmo guardato a quei racconti con lo stesso distacco con cui già allora si guardava a Jules Verne, relegato al rango di “narrativa per ragazzi”.

Non so dire perché questo racconto mi sia rimasto così impresso. Forse la mia giovane età, quindici anni, forse il fatto che vi colsi una formidabile metafora della vita, in cui più puntiamo in alto, più accediamo a cose straordinarie, più corriamo il rischio di perderle per sempre e ripiombare nella disperazione. Forse proprio il fatto che Asimov, raccontando di Marziani, ci parlava di noi stessi.

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