Jevons, la città e le auto

“If you plan cities for cars and traffic, you get cars and traffic. If you plan for people and places, you get people and places.” (Fred Kent)

Qualche mese fa mi era capitato di menzionare il paradosso di Jevons in riferimento al consumo di risorse, ieri l’ho collegato alla diffusione delle automobili negli spazi urbani. Riducendo la questione all’osso, se gli spazi urbani sono già saturi non si riuscirà a renderli meno affollati col trasferimento modale su altre forme di trasporto, semplicemente perché gli spazi “liberati” saranno nuovamente saturati da altri utenti che prima non trovavano la convenienza di utilizzarli.

In estrema sintesi: le strade si liberano facendo politiche per ridurre il numero di automobili, non pensando di trasferire utenza ad altre modalità di trasporto. Né più né meno quello che hanno fatto in Olanda negli anni ’70. Dopo avere allargato le strade per fare più spazio alle automobili, anche abbattendo edifici, quello che hanno potuto verificare è che più spazi si concedono alle automobili, più automobili finiranno con l’occuparli. Il tutto è descritto in questo bel video, sottotitolato e messo a disposizione dal blog Nuova Mobilità.

Gli olandesi, tuttavia, hanno reagito col pragmatismo che li contraddistingue: una volta verificato che il risultato non era quello desiderato, hanno nuovamente ridotto la sezione delle vie, ricostruendo gli edifici abbattuti e riportando le strade alla loro larghezza originaria. A seguire hanno perseguito l’obiettivo di limitare l’accesso delle auto ai centri città, ed in generale attivato politiche che ne marginalizzassero l’utilizzo.

A questo si ricollega l’intervento di Fabrizio Bottini: “Città: coraggio, fatti ammazzare”, dove la costruzione di autostrade urbane viene paragonata ad un fucile puntato contro i cittadini, pronto ad esplodere e fare vittime innocenti (non ultima la ragazza egiziana, incinta, morta assieme al figlio di quattro anni ed a quello che aveva in grembo).

La città, qualunque città, non funziona come il circuito elettrico con cui ci riassumono le fermate della sotterranea, strisce colorate separate da cui si entra ed esce solo in corrispondenza dei pallini scuri. Un noto urbanista internazionale l’ha pure inconsapevolmente usato poco tempo fa, lo slogan Ville Poreuse, a definire questa organicità metropolitana, del resto già stigmatizzata un secolo fa da Patrick Geddes, e per nulla riconducibile alle scatole incomunicanti del modello modernista.

Ed è notizia di poco fa quella di un convegno all’università Roma Tre sul tema della sicurezza, dal quale già emergono numeri agghiaccianti.

E tanto per capire la gravità della situazione il 10 per cento di tutti gli incidenti stradali italiani avviene a Roma, il 7 per cento a Milano. «E questo dà una misura della sicurezza- conclude Benedetto- anche riguardo quelli mortali: a Roma muoiono per questo motivo mediamente 200 persone l’anno, mentre, ad esempio, a Parigi sono in tutto 35 persone l’anno.

Penso che il quadro che emerge dalla somma di tutte queste informazioni sia abbastanza chiaro. Non possiamo ancora credere nell’efficacia di interventi palliativi senza che il sangue di decine, centinaia di innocenti ricada sulle nostre spalle.

Dobbiamo ripensare la forma città con interventi urbanistici drastici, restituire gli spazi pubblici alle persone togliendoli alle scatole metalliche con cui li abbiamo improvvidamente riempiti, ricucire forme di spostamento leggero tra i quartieri, promuovere il trasporto pubblico a scapito di quello privato a motore, e se necessario ridislocare persone ed attività produttive.

Per fare questo occorre un primo enorme sforzo: guardare negli occhi la mostruosità di asfalto, lamiere e cemento che abbiamo edificato nel corso degli anni e comprendere che va semplicemente abbattuta. Per poi, subito dopo, edificarne una nuova in base a criteri completamente diversi.

8 pensieri su “Jevons, la città e le auto

  1. Ma perché auspichi la promozione di mezzi di trasporto alternativi se poi temi che il trasferimento modale sia insuficiente alla luce del fatto che altre macchine prenderanno il posto di chi ha scelto di passare a bus e bici? C’è un punto del ragionamento che non capisco o semplicemente auguri che le due strategie – trasferimento e disincentivo “urbanistico” – siano adottate assieme?

    • “La seconda che hai detto”. 🙂

      Questa riflessione nasce in seguito a infinite discussioni sul “dobbiamo fare questo prima di quell’altro”, in particolare il punto di molti automobilisti: “prima di togliere spazio alle auto bisogna fornire un trasporto pubblico efficiente”.
      Di fatto un trasporto pubblico efficiente non può esistere senza che gli si vengano garantiti quegli spazi oggi intasati dalle auto private, si arriva quindi ad un nulla di fatto: per quanti soldi si investano sul trasporto pubblico, per quanti utenti possano operare il trasferimento modale, ce ne saranno altri pronti a rimpiazzarli alla guida di automobili non appena le strade saranno meno sature.
      Quindi le due cose (trasferimento modale e riduzione degli spazi concessi all’automobile) vanno operati contestualmente, pena il pervenire ad un risultato nullo.

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